La luce è parte principale nel definirsi della Creazione, rende possibile il nostro senso della vista e così, da questa porta principale, si forma in noi una coscienza della realtà, un’immagine del mondo. A un certo punto della storia compare la fotografia, l’invenzione-rivelazione che si serve dello spettro luminoso e innalza la luce stessa a elemento generativo e materia costitutiva dell’arte. Queste opere di natura fotografica, con tutta la loro inclinazione pittorialista nel senso nobile del termine, costituiscono un segmento poco evidente ma credo indispensabile nell’appassionata ricerca che Michele Dolz sta svolgendo da oltre vent’anni. Subito mi hanno suggerito l’analogia con l’attività archeologica alla maniera del grande Schliemann, dove intuizione e visionarietà presuppongono l’esistenza di un sito, di un punto esatto dove affondare gli attrezzi nella terra madre e custode. Così iniziano gli scavi, con prudenza, seguendo un presunto perimetro disegnato intorno agli oggetti che si spera di riportare alla luce, strappati alla stratificazione geologica che in qualche modo anche li ha preservati dalla dissoluzione in miseri elementi. Se le intuizioni sono premiate, i reperti, frammentati o miracolosamente incolumi, si svelano nuovamente ai nostri sensi, ritornano a fornire significati, ad alimentare le nostre domande sul passato, ancora una volta a ricomporsi nello sconfinato mosaico della realtà. Analogamente alle intrusioni che scavano nel grembo del mondo, con questa precisa tecnica fotografica il rapporto fondante della luce con l’oscurità diventa scenario dove il lavorio incessante delle particelle-onde è provocato da una sorgente unica, l’utensile che scava portando, attraverso l’esposizione prolungata del sensore, all’emersione dell’oggetto e consegnandolo come un dono alla nostra percezione visiva. Interessante è notare che in alcuni studi di questa serie, Dolz ci allieta con un’ulteriore riflessione, direi di natura metafisica, precisamente dove l’oggetto stesso, cioè le candele, emettono luce perturbando il campo indefinito, strappandone i veli fino ad emergere con un gesto determinante e forte. Così questi oggetti, con la loro esistenza attiva, divengono elemento genetico della percezione, affiorano alla superficie dell’immagine. Stagliandosi dal buio, che non è mai elemento passivo bensì partecipe alla costruzione visiva, essi attuano le proprie potenzialità proprio in questi atti che corrodono l’ombra. Ognuna di queste opere è un anelito alla sincerità dell’artista nell’esplorazione continua del reale, del Creato stesso. Nel magma puramente creativo che ribolle nel nostro tempo e che purtroppo continua a stupire molti ingenui, i sussurrati studi di Dolz sulla natura della fotografia, ci consegnano, in ultima analisi, l’eccezionale portato di trascendenza della Luce in LUX. Lasciamoci illuminare da queste opere che traguardano una soglia, che si fanno prove indicali dall’evento luminoso, perché una volta rivelata, la Luce agisce con tutte le sue potenze e, riempiendo le pieghe del buio, estingue le ombre lunghe dell’inganno, per sempre.
Davide Coltro