Quando una bestia inarca il dorso per emettere un suono rozzo e primitivo, il richiamo arriva anche alla nostra specie. Vibra una cosa imperfetta e abnorme insediata nel cuore stesso dell’essere. Un’eredità primigenia. Il richiamo di quella vita immersa nell’indistinto, dove vige l’esistenza fluida e collettiva del branco, della mandria, dello stormo, del banco. Dove nulla è posposto, tutto è immediato. Forza bruta. Vita che mangia vita. È il tempo dove Kronos mastica i propri figli, ovvero il tempo senza storia.
In quel tempo che precede la storia, dove tutto è immediato, non c’è simbolo, non c’è archetipo. O meglio, non c’è ancora. È sostrato di ciò che lo diventerà. Simboli e archetipi infatti, rimandano ad altro, necessitano di una distanza. Di occhi che si voltano verso il punto di partenza. Di un’identità e di una differenza. E quanto più forte è il richiamo di questa gorgone che risuona in fondo ai nostri occhi, tanto più appare evidente la distanza che ci separa da essa. La comunanza evidenzia allo stesso tempo una differenza, un salto. Irriducibile.
Questi dipinti che esplorano l’origine nascono dalla stessa esigenza per cui viene conservato il libro della Genesi. La memoria di una storia della salvezza avrebbe potuto iniziare da Mosè, con l’Esodo, invece emerse l’esigenza di ricordare anche quanto precedeva: c’era infatti bisogno, e c’è tutt’ora, di dare conto di una natura che oppone resistenza e rimane opaca alla storia della salvezza, pur essendone predisposta. C’era bisogno, e c’è tutt’ora, di attestare quel sostrato su cui la tenacia di Dio interviene per portare a compimento la propria opera. Di questo ci narra la Genesi. E di questo ci narrano questi dipinti.
Questi dipinti infatti non sono intitolati “Bestie”, o “Mostri”, ma “Creature”. Sono dialogo, per quanto grezzo, col Creatore. Sono “non ancora”. Perché tutto il creato anela a un compimento. Anche gli abissi marini o una pozza autunnale anelano a riflettere la luce della grazia. La stessa geologia delle pennellate qui diventa polvere d’oro che trasfigura.
Queste creature sono il sostrato. Diventeranno archetipi, miti, simboli, allegorie, diventeranno segni di altre narrazioni. Sono segni che un giorno narreranno di un inveramento. Non solo: è il mondo creaturale che erge il capo e attende da lontano. Sappiamo che, alla fine, entreranno nella storia. Quella stessa da cui noi, ora, qui, possiamo volgere indietro lo sguardo.
Luigi Codemo