Nella serie di opere intitolata «Notte Oscura» la ricerca di Michele Dolz si confronta con il tema naturale della Montagna, soggetto già ripreso e indagato da molti autori dal '700 ai nostri giorni, come testimonia la mostra "Montagna arte scienza e mito" realizzata al Mart di Rovereto nel 2003.
Nel periodo Romantico la scoperta della montagna è fonte di attrazione e repulsione, esaltazione e intimorimento. Luogo per eccellenza dello stupore e della meraviglia, è tramite immediato verso il sentimento del sublime, espresso da autori come Turner, Füssli e Friedrich. Dal simbolismo all'espressionismo, grazie alle moderne scoperte scientifiche, l'approccio è da un lato realistico, attento al dettaglio e alla veduta d'insieme, dall'altro sperimentale e visionario nelle opere di Cézanne, Nolde, Kandinsky, Kirchner, dove diviene simbolo della condizione dell'uomo contemporaneo.
Nell'opera di Michele Dolz si alternano diversi sentimenti di inquietudine e trepidazione che scaturiscono dalla visione reale e incombente di una montagna nera e oscura, sempre presente sullo sfondo della tela. Il senso di vertigine delle cime tracciate con veloci pennellate ascendenti e discendenti, la percezione di oscurità delle valli ricreate con profonde campiture nere e blu, la meraviglia dei barlumi improvvisi nei graffi di nuance chiare che si riflettono qua e là sulla superficie della terra. La pastosità del colore a volte entra in collisione con la liquidità di un segno forte e corporeo, steso più per evocare che per descrivere.
All'aspetto naturale e fisico della rappresentazione si aggiunge il carattere divino. Con la loro verticalità, le montagne hanno spesso rappresentato l'allegoria del sacro, evocando l'idea dello sguardo dall'alto sull'abisso, quel senso di sospensione tra terra e cielo, quel mistero insondabile, quel luogo sublime al quale anela l'anima.
Tuttavia non è un sentimento negativo di paura e di panico che prevale, ma in ogni composizione è presente l'annuncio di una speranza, la promessa di un miraggio, il risveglio di una fede che viene visualizzata nella netta ripartizione tra cielo e terra e tra terra e mare, tra giorno e giorno e tra giorno e notte, una partizione di luce e tenebra. È uno scarto, una fenditura o una piega che divide le aree e che lascia sempre trapelare un bagliore luminoso che si espande sul paesaggio a valle in fiumi dorati o aranciati, segnale tangibile che anche nella "notte più oscura" evocata da Giovanni della Croce, la luce divina non si spegne ma accorre in aiuto delle coscienze smarrite. Nella notte dei sensi, resta desta qualche luce poiché rimangono compagni dell'uomo il giudizio e la ragione.
Michele Dolz, con queste opere, permette allo spettatore di compiere un'ascesa esteriore della montagna che corrisponde a quella interiore. Nella notte oscura la luce non è subito visibile agli occhi, ma diviene il mezzo con cui si percepiscono le forme che essa investe; e solo allora questa luce può essere vista, cioè solo per il riflesso che si determina su alcuni dettagli del paesaggio, dalle valli alle vette, altrimenti non visibili nell'oscurità.
Chiara Canali