Edificato nel 1477 accanto alla Basilica di Sant’Ambrogio e poi affrescato da Bernardino Luini, l’Antico Oratorio della Passione, ora spazio espositivo, è come una prova del fuoco per quanti vi espongono. Nessun’arte di maniera, nessuna esercitazione d’accademia può lì conservare la maschera e celarsi agli occhi di chi guarda. Saper dipingere bene non conta e può addirittura diventare penalizzante. Il primo requisito che qui deve avere un artista è la forza della propria idea.
Michele Dolz espone una serie di lavori dell’ultimo biennio, che hanno la veemenza e la perentorietà per sostenere il dialogo con le pareti affrescate. Il suo linguaggio, infatti, pare incendiato dalla passione e scandito da colori forti, stentorei. I gialli accostati agli azzurri; i rossi ai neri; i verdi ai blu, senza mai passare per i mezzi toni. Le tinte ritagliano paesaggi immaginari in cui le forme nette sono separate, le une dalle altre, come i pezzi di colore che compongono le vetrate delle chiese. Non ci sono morbidezze, né sfumature e tentennamenti, eppure il colore non si rapprende in masse sorde e uniformi. Al contrario, le grandi pennellate stese lasciando visibile, fra l’una e l’altra, il bianco della tela vibrano come vetrate attraversate dalla luce. A queste schegge di colore Dolz è arrivato passando attraverso anni di pittura più delicata e titubante. Ora l’artista, davanti alla colata di rosso fuoco che incendia - la tela, può finalmente affermare: “Questo sono io”.
Francesca Bonazzoli