Fossile è un termine della paleontologia. Viene dal latino “fodere” (scavare) e indica i resti di vita passata (foglie, pollini, conchiglie, ossa, uova e altro ancora) che si trovano incastonati, fossilizzati appunto, nelle rocce sedimentarie.
Non c’è cosa più vicina alla morte. Tanto che anche nel linguaggio comune il complimento “sei un fossile” si rivolge a chi non riesce ad essere del proprio tempo.
La luce è parte principale nel definirsi della Creazione, rende possibile il nostro senso della vista e così, da questa porta principale, si forma in noi una coscienza della realtà, un’immagine del mondo. A un certo punto della storia compare la fotografia, l’invenzione-rivelazione che si serve dello spettro luminoso e innalza la luce stessa a elemento generativo e materia costitutiva dell’arte.
Paesaggi come proiezioni di una dimensione interiore, vette rocciose avvolte, per usare le parole di Dionigi Aeropagita, in una «caligine luminosissima». Sono le tele proposte da Michele Dolz nella personale «Notte Oscura» che inaugura oggi alle 18 a Milano nel nuovo spazio AlterMaria (via Priorato, 6) nella zona di Lambrate, quartiere che da industriale si è ormai trasformato in uno dei centri di produzione artistica e culturale più importanti della metropoli lombarda.
Nella serie di opere intitolata «Notte Oscura» la ricerca di Michele Dolz si confronta con il tema naturale della Montagna, soggetto già ripreso e indagato da molti autori dal '700 ai nostri giorni, come testimonia la mostra "Montagna arte scienza e mito" realizzata al Mart di Rovereto nel 2003.
DC. Il titolo della mostra non lascia dubbi ed è come volesse suggerire una conversazione sullo spirito perché è il silenzio che sembra portare direttamente all’interiorità. La tua risposta viene forse da una pittura vicina alle frontiere del silenzio interiore, quello che trascende i sensi stessi.
MD. È abbastanza vero. I miei dipinti non raffigurano esattamente qualcosa ma non sono nemmeno astrazioni. Io li vedo come una sorta di sguardo perso, quel modo di guardare senza guardare mentre la mente e le emozioni sono un po’ lì e un po’ altrove.
Ricordo una battuta di Degas sull’impressionismo: «C’est plein de courants d’air». Intendeva dire che all’en plein air preferiva il chiuso del proprio studio, la luce opaca che filtrava dai finestroni quasi mai lavati dell’atelier. Una garanzia di «verità», la verità della propria memoria. Quel precipitato che resta quando hai dimenticato tutto quello che sai della realtà.
Edificato nel 1477 accanto alla Basilica di Sant’Ambrogio e poi affrescato da Bernardino Luini, l’Antico Oratorio della Passione, ora spazio espositivo, è come una prova del fuoco per quanti vi espongono. Nessun’arte di maniera, nessuna esercitazione d’accademia può lì conservare la maschera e celarsi agli occhi di chi guarda. Saper dipingere bene non conta e può addirittura diventare penalizzante. Il primo requisito che qui deve avere un artista è la forza della propria idea.
Abbiano imparato a stordirci di tanti libri e abbiamo dimenticato come leggere una luce, la ruga di un volto: mi ha impressionato, quell’annotazione di Guido Ceronetti. per la sua disadorna verità; soprattutto perché trovo in quelle parole un segnale di solidarietà nella fatica di porre al centro la «visione», radice sepolta non solo per la pittura ma per l’intero spettro dell’arte: questa solo la riporta a un’unità con la vita dell’uomo che altrimenti, per via di cultura, sarebbe oggi dispersa.
Non sempre ciò che è essenziale è anche semplice. C’è, tuttavia, un modo di essere semplici che conduce quasi automaticamente ad essere essenziali: è la cosiddetta «semplicità di cuore», che consiste nel prendere in considerazione le cose senza troppi preamboli e che, evangelicamente intesa, significa affrontare la complessità sapendo dire «sì sì, no no» quando è il caso di dirlo.
Non sempre ciò che è essenziale è anche semplice. C’è, tuttavia, un modo di essere semplici che conduce quasi automaticamente ad essere essenziali: è la cosiddetta «semplicità di cuore», che consiste nel prendere in considerazione le cose senza troppi preamboli e che, evangelicamente intesa, significa affrontare la complessità sapendo dire «sì sì, no no» quando è il caso di dirlo.